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Il Parlamento italiano ha deciso in primavera con i soli voti della maggioranza di governo di modificare la Costituzione in diversi punti chiave. Su questa cosiddetta “riforma costituzionale” i cittadini potranno finalmente votare il prossimo 4 dicembre. Con un sì o un no – cioè se può entrare in vigore oppure no.
Noi Verdi vogliamo essere cittadine e cittadini responsabili. Innanzitutto andando a votare, questo per noi è ovvio. La Costituzione è lo scudo della nostra democrazia, così come della nostra autonomia. Non vi può essere nessuna buona autonomia senza una buona Costituzione. Nemmeno la migliore “clausola di salvaguardia” potrà mai compensare i danni provocati dal deterioramento della Costituzione. L’ordine dell’Obmann Achammer che “noi dobbiamo badare solo al Südtirol e tutti gli altri aspetti non ci devono interessare” è per il nostro concetto di politica, anche di politica per l’Alto Adige, assolutamente incomprensibile. Per noi conta sempre anche il quadro generale.
 A noi Verdi questa riforma costituzionale non piace. Gli aspetti negativi superano di gran lunga quelli positivi. Quindi voteremo convintamente NO. Le ragioni del nostro No sono sommariamente elencati nel piccolo volantino e nei manifesti che distribuiremo in tutta la provincia e dalle argomentazioni che stiamo presentando in tantissimi incontri con la popolazione. Essi sono condivisi con un’ampia area politica schierata per il NO. Cogliamo l’occasione per ringraziare il “Comitato Nazionale per il No” e in particolare ringraziamo i diversi esperti, come Thomas Benedikter, che hanno redatto e messo on line opuscoli informativi in lingua tedesca. L’impegno per il No non conosce confini di partito e la sua possibile vittoria non porterà il nome di alcun partito.
Resistenza ad una contro-riforma
Noi Verdi sono convinti che l’Italia ha bisogno di riformare le sue istituzioni democratiche. Ma la riforma deve andare nella direzione di maggiore democrazia, trasparenza e partecipazione e non porsi al servizio del mantenimento del potere e sotto la pressione di presunte esigenze economiche. La riforma approvata dalla maggioranza è una contro-riforma. Il nostro no è una resistenza. Noi vogliamo resistere contro la centralizzazione dello stato, contro lo smantellamento della democrazia, contro l’erosione dell’autonomia regionale e provinciale e contro la legge elettorale “Italicum”, che in collegamento con la riforma costituzionale ha l’effetto di falsificare la volontà delle elettrici e degli elettori e porta direttamente a un regime di un uomo solo al comando.
 La Svp non nega tutti questi aspetti negativi. Ma ritiene una compensazione sufficiente la cosiddetta clausola di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale. Per noi, questa è ingenuità o imbroglio. La clausola di salvaguardia (che noi per questo chiamiamo “cosiddetta”) non protegge affatto l’autonomia dell’Alto Adige – e di sicuro non per sempre. Si tratta al massimo di una clausola di rinvio. Gli svantaggi della riforma costituzionale ci colpiranno a scoppio ritardato e, nel caso migliore, leggermente attenuati. Per decidere sul modo in cui per l’autonomia dell’Alto Adige si dovrà arrivare a una “revisione sulla base di intese” (quanto vaga è questa formulazione!) è stato istituito l’ennesimo “Tavolo Bressa”. L’annuncio del negoziatore Zeller che ne sarebbe uscita la “clausola di salvaguardia migliore mai raggiunta” è da prendere sul serio come le promesse di Renzi sulla ripresa economica imminente in Italia.
Il vicolo cieco di un’autonomia “tra amici”
Il Sì del Presidente della Giunta provinciale e della Svp era prevedibile ed è comprensibile. La politica autonomistica che perseguono solo apparentemente passa dai rapporti istituzionali tra Provincia e Stato; in realtà preferiscono puntare tutto sui rapporti personali preferenziali col capo del governo, con alcuni ministri e col partito di maggioranza. Questo porta di tanto in tanto discreti successi, ma può non essere una strategia ottimale per l’autonomia e ha il suo prezzo.
In tutta la vicenda della riforma costituzionale non c’è mai stato il minimo dubbio che la Svp dovesse appoggiare Renzi su una questione che è il banco di prova per la sua sopravvivenza. Renzi e il suo delegato per l’Alto Adige Bressa avrebbero considerato un no alla riforma costituzionale come un tradimento e un’ingratitudine. E la vendetta sarebbe stata crudele. Troppe norme di attuazione, troppi accordi finanziari, troppe concessioni sono basate sui buoni rapporti personali e non su veri e propri “diritti”.
Così accade con la “clausola di salvaguardia” nella riforma costituzionale. Non va negato: “tra amici” e “in buone relazioni politiche” si può anche ottenere qualcosa. Ma il senatore Zeller esagera se dice che il Sudtirolo non ha mai avuto una garanzia migliore. Così minimizza i tanti successi che egli stesso ha ottenuto nel corso dei suoi oltre 20 anni di attività. E ogni volta era “la migliore”! Stavolta però rischia, con questa “migliore”, di mettere a rischio il bene dell’autonomia.
Un’ambigua “clausola di salvaguardia”
Festeggiare la cosiddetta clausola di salvaguardia come fosse una “clausola di indipendenza” è contraddittorio e perfino dannoso. Perché contraddittorio? La riforma costituzionale nel suo complesso deve essere davvero pessima, se per l’Alto Adige è necessario difendersi dai suoi effetti con la “migliore clausola di salvaguardia”.
La SVP vota sì a qualcosa da cui si deve proteggere
Questa contraddizione logica sveglierà il can che dorme.
In quel Parlamento che domani dovrà approvare la revisione dello Statuto di autonomia, il risentimento delle altre regioni è già percepibile. La ministra e madrina della riforma Elena Boschi avrà avuto i suoi buoni motivi per evitare di dedicare una sola diapositiva, o una sola parola, alla famosa “clausola di salvaguardia” per le regioni speciali. Di certo non se l’è dimenticata. Vuole evitare la rabbia delle regioni ordinarie almeno fino al referendum.
Il Sì della Svp a questa riforma costituzionale si rivelerà nel lungo periodo un danno storico per l’autonomia dell’Alto Adige. Per la “clausola di salvaguardia” la Svp si gioca la solidarietà delle altre regioni d’Italia. Questo potrebbe costarci molto caro.
Ci si accorgerà presto che l’autonomia, anche l’autonomia speciale, è meglio protetta in una Italia del federalismo e del regionalismo, che in un’Italia del centralismo e delle regioni ordinarie castigate.
La strada della (provvisoria) eccezione dal peggioramento si rivelerà un vicolo cieco. Tra le potenti regioni limitrofe già bolle la rabbia. E se domani un (diverso) governo o la Corte Costituzionale, in nome dell’”interesse nazionale” o per “l’unità economica e politica dello Stato,” cominceranno a tagliare i “privilegi” dell’Alto Adige e noi correremo a protestare a Roma, a Vienna, o in Europa, la risposta sarà: ma voi questa Costituzione l’avete votata!
In quel momento noi Verdi sudtirolesi vogliamo poter dire: Noi non l’abbiamo fatto!
Per questo votiamo NO il 4 dicembre.
Bolzano, 14. 11.2016
Florian Kronbicher – Parlamentare
Brigitte Foppa, Riccardo Dello Sbarba, Hans Heiss – Gruppo Verde in Consiglio Provinciale

L’impensabile è successo: Donald Trump è presidente degli Stati Uniti. Dal punto di vista dei Verdi si tratta di una catastrofe per la politica di tutela del clima.
Primo, per il clima in senso stretto.
Trump non solo è il campione delle energie fossili, che ha già anbnunciato il grande ritorno al carbone e al petrolio. Ma è anche uno degli ultimi che nega il cambiamento climatico. Adesso gli sforzi della comunità internazionale contro il riscaldamento del pianeta rischiano di essere vanificati, poiché con Trump c’è da temere grandi passi indietro nella politica mondiale sul clima. Quel che significa per il nostro pianeta è facilmente immaginabile.
Secondo, per il clima nelle relazioni umane.
Trump è un arrogante propugnatore dell’esclusione, dell’isolamento, del razzismo e del sessismo. La politica dell’immigrazione verrà inasprita e subirà restrizioni. Se Trump realizza anche solo una parte dei suoi annunci, il clima sociale negli Stati Uniti si indurirà e tracimerà oltre i confini del Nord America un’ondata di rifiuto e mancanza di solidarietà. La conseguenza: le persone migranti saranno abbandonate all’Illegalità, alla criminalità, alla deriva sociale.
Terzo, per il clima politico.
Con Trump vince un populista che con incredibile superficialità e mancanza di rispetto a portato in auge uno stile politico che da persone democratiche come noi può essere solo respinto. Le urla di triuonfo dei populisti europei e la crescita anche in Europa della estrema destra ci fanno temere che si stia aprendo una nuova era della politica in cui il consenso, l’approfondimento, il confronto ragionato e culturalmente elevato avranno sempre meno spazio.
In questo senso anche noi, nella nostra piccola provincia, siamo coinvolti da questo risultato americano. L’8 novembre 2016 è un giorno nero per tutte le persone impegnate per un mondo solidale, ecologico, fondato sulla collaborazione, la dignità umana e la giustizia tra i generi.  
 
Brigitte Foppa  e Hans Heiss,
Co-portavoci provinciali Verdi Grüne Vërc
Bolzano, 9. 11. 2016

Questo il motto di un incontro-dialogo che si è svolto sabato, 5 novembre al Centro cure palliative Martinsbrunn a Merano.

klanggarten-martinsbrunnDa tempo il Gruppo Verde in Consiglio Provinciale si occupa del significato ecologico degli orti con diverse azioni politiche. Ma Orti e giardini non sono solo luoghi della sostenibilità e pezzi di terra in cui si coltivano piante, ortaggi e fiori, ma veri e propri luoghi di benessere e terapia. Tutti e tutte, giovani e anziani, persone sane e ammalate, disagiate o meno possono trarne vantaggio. Anche la politica deve tenerne conto e creare le condizioni adeguate. Con questo obbiettivo il Gruppo di lavoro Social&Green ha organizzto, insieme al Gruppo Verde in Consiglio provinciale, un evento-dialogo.
Oltre alle informazioni sulla pratica dell’orto a scopo terapeutico e la presentazione di progetti d’avanguardia che esistono in Alto Adige, è stato formulato anche un elenco dettagliato di proposte rivolte alla politica. Il tema degli orti nel settore sociale ha una grande rilevanza, anche se è ancora percepito come “nuovo”.
Gli orti in situazioni come case di cura o ospedali rendono possibile una maggiore permeabilità tra la struttura e la società, una maggiore autodeterminazione dei e delle ospiti nel percorso di recupero e, infine, accrescono la qualità della vita e regalano esperienze meravigliose anche a chi è arrivato alla fine della propria vita.
Per questi motivi sarebbe indispensabile che ogni struttura sociale e sanitaria fosse dotata di un orto e/o aree verdi. Per rendere possibile questo servono i necessari presupposti urbanistici. Devono essere sostenute le associazioni che lavorano già oggi con progetti innovativi di orti terapeutici, devono essere riconosciuti i profili professionali legati a questa metodologia e devono essere creati percorsi di formazione adeguati.
Il gruppo Verde presenterà presto in Consiglio provinciale le proprie proposte su questi punti nella consapevolezza che gli orti fanno bene e che la società ne ha sempre più bisogno.
Relatrici e relatori:
Perché il nostro benessere ha bisogno di un orto? – Edith Verginer, ortoterapeuta
L’effetto benefico di musica, suoni e colori sui pazienti nel Giardino dei Suoni –  Andrea Gabis, Martinsbrunn, Merano
Il giardino dei sensi nella Residenza di cura e per anziani a Laces – Iris Cagalli, direttrice
Un orto per il reinserimento nel Centro di training professionale – Robert Erb, Comunità comprensoriale Burgraviato
Un giardino per la musica sopra il reparto di Oncologia a Bolzano –  Gruppo TERRAE
Moderazione: Katharina Ehrlacher – Blufink
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Brigitte Foppa, Riccardo Dello Sbarba, Hans Heiss – Gruppo Verde in Consiglio Provinciale
Karl Tragust – portavoce Social&Green

Alcune riflessioni dopo l’incontro con Rosanna Sestito.
DSC_0007Lunedì 10 ottobre 2016 abbiamo incontrato all’Archivio delle Donne di Bolzano Rosanna Sestito, ostetrica formatasi a Bologna, laureata successivamente anche in sociologia e antropologia. Con alle spalle una esperienza lavorativa di diversi anni con Medici Senza Frontiere in diversi Paesi africani come il Gibuti, Angola, Liberia, Congo, Costa d’Avorio, attualmente è dottoranda presso l’Università di Losanna e sta svolgendo una ricerca sempre su questioni di genere in Iran.
Gentilmente ha messo a disposizione delle Donne Verdi e del Gruppo Verde in Consiglio provinciale la sua lunga esperienza con donne con mutilazioni genitali e il suo bagaglio di conoscenze di un mondo e di una pratica da noi tanto lontani quanto condannati.
Ecco alcune delle informazioni che mi sono rimaste più impresse (senza velleità di completezza) e che avranno bisogno di ulteriore riflessione e di una profonda rielaborazione:

  • L’escissione di parte degli organi sessuali femminili è una pratica patriarcale, volta a controllare il corpo della donna, a preservarne la purezza e la castità.
  • È una pratica risalente a un periodo anteriore a tutte le religioni attualmente vigenti. Il Corano non la prescrive, come non prescrive nemmeno la circoncisione.
  • Viene praticata in Paesi dalle religioni più diverse, anche in comunità cristiane ed ebraiche.
  • Il Paese al mondo con la percentuale più alta di donne escisse è l’Indonesia, seguita dalla Malesia. In quasi tutti i paesi in cui viene praticata, questa operazione è fuori legge. È molto facile però procurarsi il kit medico sterilizzato. Nonostante sia vietato in molti paesi viene effettuato dai medici, anche ambulatorialmente. Dati dicono che in questo modo la mortalità e le complicazioni dal punto di vista fisico sono molto diminuite o addirittura scomparse.
  • L’escissione di parte degli organi sessuali femminili viene vista nei paesi in cui viene praticata come un rito di passaggio e di appartenenza. Una pratica senza la quale non si diventa vere donne e non si viene accettate. Nei Paesi in cui viene praticata non si è donne per natura. Lo si diventa proprio con questa pratica.
  • Il ricordo di questa pratica è diversa da donna a donna: ci sono le donne che ne hanno un vissuto traumatico e di violenza, in altre invece prevale il ricordo della festa, dell’accoglienza in una comunità.
  • Molte di queste donne non condannano i loro genitori per averle sottoposte a questa pratica, perché non era loro intenzione fare loro violenza.
  • Esistono molte donne e organizzazioni femministe africane che fanno un lavoro egregio di sensibilizzazione volto a estirpare questa prassi così profondamente radicata e che viene portata avanti molto spesso dalle nonne.
  • Con la vittimizzazione e i nostri discorsi sui diritti umani, così come con le argomentazioni sanitarie non si va molto lontano. Il fenomeno è culturale, antropologico, radicato in profondità in culture altre da noi.
  • È molto importante differenziare tra pratica e donne sui cui è stata fatta: bisogna condannare la pratica, non le donne che l’hanno subita!
  • In Emilia Romagna è stato redatto un protocollo di comportamento per il personale medico e paramedico che si trova a dover trattare donne che nell’infanzia sono state escisse. Esclamazioni del tipo “signora come l’hanno ridotta” non aiutano, anzi… Le donne immigrate subiscono in questo senso una doppia violenza. Subiscono l’escissione da bambine, perché altrimenti non diventano “donne perfette” e una volta arrivate in Europa, queste stesse donne diventano mutilate, donne incomplete, donne imperfette, da rimettere a posto.
  • In Europa l’intervento di educazione e sensibilizzazione alla nascita delle figlie è molto importante. La Francia svolge un servizio molto interessante in questo senso: tutte le mamme, a prescindere da cultura e provenienza, per alcuni mesi dopo il parto ricevono supporto ostetrico, psicologico, ecc. Quando il servizio incontra mamme provenienti da Paesi in cui è diffusa tale pratica, il supporto e le attività di educazione e sensibilizzazione vengono organizzate in modo da convincere i genitori a non sottoporre le proprie figlie a questa pratica.
  • La terminologia stessa è ancora oggi oggetto di acceso dibattito. Il termine “mutilazioni” porta in sé il significato di incompletezza, di diffettoso. È una terminologia che tende alla vittimizzazione. Ma molto spesso le donne escisse non hanno consapevolezza su che cosa manchi loro. Sanno che qualche cosa è stato loro tolto, ma non sanno che cosa. Tra le giovani donne immigrate è in crescita la richiesta di essere “ricostruite”, “riparate”. E nonostante alcuni chirurghi sostengano il contrario, non è possibile ricostruire le parti escisse.

Da questo incontro sono uscita con tante sensazioni contrastanti. La consapevolezza di aver imparato un sacco di cose, ma soprattutto con un grandissimo insopportabile fastidio. Un fastidio strano, un dolore fisico che partiva dalla pancia e finiva in un gran turbinio in testa in cui si affollavano e scontravano pensieri e opinioni.
Un fastidio tutto interiore, dovuto al fatto che le argomentazioni di Rosanna Sestito hanno scardinato in me alcune certezze e hanno svelato nella sua complessità un tema che normalmente si tende a velare con poche e brutali semplificazioni e ancor meno informazioni fondate.
Il fastidio di far parte di un mondo che ha in sé una visuale coloniale che ha avuto sempre come scopo quello di occupare e annientare e che ci ha lasciato come eredità la tendenza ad appiattire tutto secondo i nostri canoni di giudizio.
Il fastidio di non poter più avere un’opinione chiara e categorica su che cosa sia giusto o sbagliato. E quindi di non poter più schierarsi facilmente da una parte o dall’altra.
Man mano però che tutte queste informazioni si sono sedimentate, a dare un po’ di sollievo si sta riposizionando, con forza ancora maggiore rispetto a prima dell’incontro, la certezza che sempre e prima di tutto viene il benessere delle donne… e che a volte questo può essere raggiunto in modo più efficace facendo un passo indietro, dando spazio e riconoscimento a chi effettivamente con cognizione di causa e da più tempo porta avanti una battaglia per l’integrità e l’autodeterminazione delle donne proprio in quelle parti del mondo. Il nostro giudizio europeo, la condanna della pratica che troppo spesso si confonde con la vittimizzazione delle donne che l’hanno subita, spesso non è di aiuto, anzi, la maggior parte delle volte è addirittura controproducente.
Gli interrogativi e i dubbi restano comunque tanti e difficili:
Possiamo accettare che una pratica patriarcale, volta al controllo del corpo della donna e a preservarne la purezza e la castità a costo di asportare parte dei suoi organi genitali, venga praticata da culture diverse dalla nostra e accettata dalle stesse donne come un rito di passaggio e appartenenza? E consce di questo, riusciamo a condannare questa pratica invasiva e fuori dal tempo, senza vittimizzare le donne su cui è stata praticata e condannare le famiglie che la fanno praticare?
Anche noi donne europee non siamo immuni da mutilazioni, le quali vengono spesso camuffate da “interventi di chirurgia estetica” come il ringiovanimento vaginale, la labioplastica di piccole e grandi labbra, la perineoplastica, la liposcultura, l’imenoplastica, il rifacimento dei seni per non parlare degli interventi alla nascita di bambin* intersex. Ci possiamo permettere di giudicare senza prima fare i conti con gli scheletri che abbiamo negli armadi in casa nostra?
Ma la domanda che più mi lacera e a cui non so proprio se mai saprò dare una risposta è: che cosa abbiamo fatto noi donne per dover e voler subire questo tipo di interventi? Qual è stato il momento nella storia dell’umanità in cui si è voluto ricorrere al controllo del nostro corpo e della nostra capacità riproduttiva? Che cosa c’è di male nel nostro corpo da indurci a ricercare un ideale di “perfezione” che con il tempo cambia, si trasforma, ci perseguita e che ha il solo scopo di farci sentire sbagliate in qualsiasi parte del mondo ci troviamo?
Quello che possiamo davvero fare è iniziare a parlarne, possibilmente libere dal pregiudizio, è continuare e migliorare il lavoro su noi stesse, sull’autodeterminazione dei nostri corpi. E affiancare il nostro lavoro a quello di tante donne in altre parti del mondo in modo solidale, alla pari, perseguendo un comune obiettivo: il benessere fisico e mentale delle donne, nel pieno rispetto dell’autodeterminazione di ognuna di noi.
Archivio delle donne, 10.10.2016.
Serena Rauzi, Coordinatrice – Gruppo Verde in Consiglio provinciale
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Interrogazione.
Slegalo-240x240Mercoledì 19 ottobre 2016 alle ore 20 si doveva tenere al centro di riabilitazione “Gelmini” di Salorno la presentazione del libro “E tu slegalo subito” di Giovanna del Giudice, edizioni Alpha Beta. A quanto ha dichiarato ai media Claudio Tommasini, bibliotecario a Salorno che aveva organizzato l’evento, la presentazione non si è potuta tenere in quella sala a seguito di una telefonata allo stesso bibliotecario da parte del primario di Psichiatria Andreas Conca. Le parole di Tommasini alla stampa non sono state finora smentire.
La censura verso un libro che affronta il tema delicato della contenzione in psichiatria non è accettabile, soprattutto vista la situazione in Alto Adige, dove la contenzione viene a quanto ci risulta praticata. Da dati pubblicati nel 2002 dal ministero della salute risultava che in Sudtirolo su 4 SPDC provinciali (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura) in 3, cioè Bolzano, Bressanone e Brunico, veniva praticata la contenzione verso pazienti. Lo stesso quadro veniva confermato in una risposta a una nostra interrogazione del 2008 (nr. 5531/08).
In più, in diversi SPDC non esisteva in quel momento un registro o quaderno dove venissero registrati i casi in cui veniva praticata la contenzione.
Se la situazione fosse rimasta tale (o magari si fosse allargata anche a Merano, fino a poco tempo fa unico SPDC “libero da contenzione”) verrebbe da pensare che il “divieto” di presentazione di un libro che critica aspramente questo metodo e propone trattamenti alternativi non disturbasse tanto i pazienti (questa risulta la motivazione portata dal dott. Conca), ma piuttosto i vertici di una struttura sanitaria che pratica la contenzione.
L’uso della contenzione in reparti di psichiatria non va considerata una scelta scontata. Infatti va ricordato che la legge 180/78, la cosiddetta legge Basaglia, dichiarò superato il trattamento tradizionale della malattia mentale a favore di un percorso di assistenza, cura e riabilitazione che deve avvenire il più possibile senza ricovero, segregazione o contenzione, ma nel contesto sociale che ha provocato il disagio mentale.
In coerenza con questo, fissò l’obbiettivo di mettere al bando i metodi di contenzione con mezzi meccanici (cinghie ecc…) in quanto metodi superati e contrari ai diritti della persona.
Ricordiamo che l’articolo 32 della Costituzione stabilisce che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
In Provincia di Bolzano esistono Linee Guida sulla contenzione fisica in ambito ospedaliero, promulgate – a quanto ci risulta – nel giugno 2009. Esse citano come “principale riferimento di legge specifico sulla contenzione” l’articolo 60 del Regio Decreto n° 615 del 1909. A parte l’evidente scarsa modernità del riferimento (oltre un secolo fa), risulta che il citato Regio Decreto era un decreto attuativo della Legge sui Manicomi del 1904, abrogata dalla legge 180/78. Dunque, viene a cadere il “principale riferimento di legge” per l’applicazione di metodi di contenzione.
Ciò considerato, si chiede alla Giunta provinciale:
Sulla presentazione del libro:

  • Se risulta vero che alla vigilia della presentazione del volume “E tu slegalo subito” di Giovanna del Giudice, edizioni Alpha Beta, il primario di Psichiatria Andreas Conca abbia telefonato a Claudio Tommasini, bibliotecario a Salorno che aveva organizzato l’evento, dicendo che la presentazione non poteva tenersi al centro di riabilitazione “Gelmini”, dove era stata programmata.
  • Se ciò è accaduto, quali ragioni ha addotto il dott. Conca per questa sua richiesta?
  • Il dott. Conca ha vietato di tenere la presentazione, oppure il bibliotecario Tommasini avrebbe potuto comunque tenerla nel centro di riabilitazione “Gelmini” anche dopo la telefonata?
  • Comunque sia, ritiene la Giunta provinciale che il dott. Conca abbia fatto bene o male a chiedere lo spostamento della presentazione del citato volume?

Sull’uso della contenzione negli SPDC dell’Alto Adige, specificando la risposta per singolo SPDC:

  • Quanti interventi di contenimento affidati a mezzi meccanici sono stati praticati negli SPDC della nostra provincia negli anni dal 2010 al 2016 compreso, distinguendo la risposta per singolo anno?
  • Di quali mezzi di contenimento sono forniti i singoli SPDC, e quali sono quelli più frequentemente utilizzati?
  • Qual’è stata la durata media della contenzione applicata a pazienti per singolo SPDC? E per quante volte viene in media applicata per singolo/a paziente?
  • In quali SPDC provinciali dove si pratica la contenzione con mezzi meccanici esiste un registro o quaderno delle contenzioni?
  • Se in uno o più SPDC non esistesse un quaderno o registro delle contenzioni, ritiene la Giunta ciò ammissibile e cosa intende fare affinché ogni SPDC si doti di un registro o quaderno delle contenzioni?
  • Per quali motivi, per ogni singolo SPDC, vengono utilizzati gli interventi di contenzione a mezzo di strumenti meccanici? Da chi sono autorizzati? Vengono regolarmente controllati?
  • Se la Giunta non consideri la contenzione a mezzo meccanico un metodo superato e contrario ai diritti della persona, da ridurre progressivamente fino ad eliminarlo come hanno fatto molti SPDC in altre regioni d’Italia. Se no, per quali motivi; se sì, entro quando e con quali iniziative si intende raggiungere questo obbiettivo.
  • Se la Provincia non ritiene che il Regio Decreto n° 615 del 1909 non sia più in vigore, in quanto abrogato dalla legge 180/78insieme alla Legge sui Manicomi del 1904, e che dunque venga a cadere il “principale riferimento di legge” sulla contenzione; in caso affermativo, come che cosa si intende fare.

Bolzano 27 ottobre 2016
Firmato cons. prov.
Riccardo Dello Sbarba
Brigitte Foppa
Hans Heiss

Secondo un annuncio del gestore della struttura ferroviaria RFI, i canoni di utilizzo dell‘infrastruttura ferroviaria per i treni internazionali a lunga distanza, e solo per questi, verranno rincarati a partire dal 1 gennaio 2018 del 65%. Ciò prevede un rispettivo provvedimento da parte del ministero.OBB_Trasporto
Questa misura metterà in serio pericolo tutti i collegamenti ferroviari internazionali tra l‘Italia e l‘estero.
Il prezzo per le categorie coinvolte sulle tratte RFI (Open Access International) salirà da € 2,70 all’anno nel 2016 a € 4,48 all’anno nel 2018. Il 65,9 % in più. Il rincaro riguarderà solo i treni a lunga percorrenza, non i treni regionali. Questo significa che l’inasprimento delle tariffe si riverserà tutto sui treni internazionali. Per l’Alto Adige Südtirol e i suoi collegamenti con il mondo, evocati in continuazione negli ultimi mesi, questa prospettiva è a dir poco catastrofica. Il rincaro dei prezzi della ferrovia avrà come conseguenza un aumento del traffico automobilistico e dei mezzi pesanti.  con o senza BBT.
Secondo informazioni forniteci dal nostro collega dei Verdi austriaci, la ÖBB sta preparando un ricorso contro RFI e ART (Autorità di regolazione dei trasporti) per contrapporsi a questo rincaro deciso unilateralmente e molto dubbioso sul piano giuridico europeo. La consegna di tale ricorso deve essere effettuata entro il 28/10. Ulteriori soggetti colpiti sono tra gli altri anche la Deutsche Bahn e Trenord, la Società delle imprese per il trasporto merci FerCargo, Trenitalia e le ferrovie francesi SNCF.
Da un punto di vista ambientale la minaccia di tale rincaro è un duro colpo dalla portata doppia: i treni a lunga percorrenza verso l‘Italia sono ben utilizzati. Nel momento in cui diventeranno insostenibili dal punto di vista economico, perché l‘Italia aumenta il canone infrastrutturale di due terzi, questi treni ci saranno ancora? Rotaie vuote e accanto ancora più camion sulle tratte stradali? Sarebbe un vero e proprio incubo.
Bisogna reagire subito. Se questo proposito passa, la prossima vittima saranno i treni merci. Il trasporto merci è comunque sotto forte pressione economica, proprio perché il trasporto su strada – a causa dei bassi prezzi per il carburante e pedaggi più a buon mercato rispetto al canone ferroviario – è così economico.
L’aumento smisurato dei canoni ferroviari indeboliscono il trasferimento del trasporto su rotaia e sono un segnale sbagliato e assolutamente inaccettabile. Anche l‘Alto Adige/Südtirol si deve ribellare!
25.10.2015
Brigitte Foppa, Hans Heiss, Riccardo Dello Sbarba
Interrogazione provinciale allegata

Mozione.
DemoPiazzaMagnagoSul territorio della provincia di Bolzano si trovano circa 1.000 persone richiedenti asilo accolte nei centri già allestiti nel programma di accoglienza e quasi 500 non accolte in tali strutture, ma presenti sul territorio, che hanno avviato la domanda di asilo o protezione internazionale in Alto Adige-Südtirol. Una parte di queste persone ha ricevuto una “assistenza umanitaria” in strutture tipo “emergenza freddo”, quelle che ricadono nella categoria di “soggetti vulnerabili” (donne con figli e figlie) sono state accolte in garni e alberghi economici di Bolzano, mentre molte altre hanno dovuto trovare sistemazioni di fortuna, presso privati o volontari, presso qualche chiesa, oppure hanno dormito semplicemente all’addiaccio.
Sulle persone che hanno presentato domanda di asilo in provincia di Bolzano si è sviluppato un confronto con lo Stato. Finalmente, nell’incontro tra il Presidente Kompatscher e il ministro Alfano il 7 ottobre 2016, lo Stato ha accettato la richiesta della Provincia, che queste persone siano riconosciute come parte della quota di redistribuzione assegnata all’Alto Adige, che è stata quantificata a 1474 persone, che include appunto tutte le persone arrivate autonomamente sul nostro territorio e hanno diritto all’accoglienza. La Questura di Bolzano ha l’elenco di queste persone, lo aggiorna in tempo reale e ha già individuato, caso per caso, chi ha diritto a rientrare nei programmi di accoglienza sul nostro territorio. Ci risulta che il loro numero si aggiri attorno alle 453 persone aventi diritto.
Adesso la Provincia e i Comuni devono darsi da fare.
Infatti è necessario chiarire che le persone richiedenti asilo sul territorio, di cui la Questura ha l’elenco completo e che ci sono state assegnate come quota provinciale, hanno diritto all’immediata accoglienza secondo gli standard garantiti dai vari centri di accoglienza già operanti sul territorio. Queste persone, del resto, sostituiscono un eguale numero di richiedenti asilo che – in loro assenza – ci sarebbero inviate dallo Stato fino al raggiungimento della quota assegnata.
Inoltre, con l’accordo Kompatscher Alfano del 7 ottobre, lo Stato ha garantito alla Provincia la copertura finanziaria dell’accoglienza per le persone rientranti nell’intera quota a noi assegnata.
Queste persone quindi rientrano a tutti gli effetti nelle norme internazionali e comunitarie in materia di asilo, come la direttiva 2013/33 del Parlamento e del Consiglio europeo. Ad esse è riconosciuto il diritto intangibile e immediato all’accoglienza, in attesa del risultato della loro domanda di protezione.
Questi diritti non possono essere negati nei fatti da lentezze burocratiche o difficoltà organizzative. Né possono essere ridotti da regolamenti o circolari provinciali.
Tutto ciò premesso,
Il consiglio della Provincia autonoma di Bolzano
impegna la Giunta provinciale

  1. Ad acquisire immediatamente, qualora non lo abbia ancora fatto, dalla Questura e/o dal Commissariato del Governo l’elenco delle persone aventi diritto all’accoglienza fino al completamento della quota di 1474 a noi assegnata, inclusiva di quelle che hanno fatto domanda presso la questura di Bolzano. Le persone dell’elenco devono immediatamente essere prese in carico dalla Provincia.
  2. A provvedere all’immediato allestimento di centri di accoglienza per persone richiedenti asilo con una capacità di posti per 1474 persone, che è la quota assegnata al nostro territorio.
  3. Tali centri devono essere ben distribuiti tra i diversi comuni e devono corrispondere agli standard di accoglienza dei centri già ben funzionanti sul nostro territorio.
  4. Qualora per motivi organizzativi, e per una breve fase transitoria, non potesse essere possibile allestire centri definitivi di accoglienza per tutte le 1474 persone, a predisporre un programma di accoglienza provvisorio trovando soluzioni rapide ed efficaci, di adeguato standard di qualità, anche ricorrendo alle risorse di cui dispone la Protezione Civile provinciale e gli altri enti di protezione e soccorso (Croce Rossa, Croce Bianca ecc…).
  5. Se gli attuali gestori Caritas e Volontarius non fossero in grado di garantire la gestione di tutti i nuovi centri di accoglienza, ad avviare immediatamente un’azione per individuare nuovi soggetti interessati che siano all’altezza del compito.
  6. A concertare con Caritas e Volontarius, con i gruppi di volontariato, con i servizi sociali, con il Consorzio dei Comuni e in particolare col Comune di Bolzano, con il Commissariato del Governo e con tutti gli altri eventuali soggetti coinvolgibili in questa problematica, le misure necessarie a garantire alle 1474 persone richiedenti asilo finora assegnateci l’accoglienza che loro spetta.

Bolzano, 24 ottobre 2016
Cons. prov.
Riccardo Dello Sbarba
Brigitte Foppa
Hans Heiss

Il progetto per il collegamento sciistico tra Vallelunga e Kaunertal è economicamente discutibile e un brutto colpo per il futuro ecologico delle valle e del suo habitat.

Gruppenbild Langtaufers
Vallelunga, a 1900 m di altitudine, con la cima Palla Bianca sullo sfondo, è un territorio pressoché intatto, di grande qualità paesaggistica e dalle buone condizioni di vita per i ca. 450 abitanti.
Ora, dopo 30 anni di discussioni, torna sul tavolo il progetti per la realizzazione di un impianto che colleghi Vallelunga con l’area sciistica austriaca di Kaunertal: i promotori, accanto all’imprenditore tirolese Hans Runatscher, sono principalmente alcuni speculatori del comune di Curon e della frazione di Vallelunga. Così è stata costituita una nuova società al fine di realizzare il collegamento, è stato presentato uno studio di fattibilità agli uffici per l’ambiente e il progetto è stato raccomandato vivamente ai governi di Innsbruck e di Bolzano come iniziativa di importante sinergia transfrontaliera.
Ieri, il Gruppo Verde in Consiglio provinciale, con Brigitte Foppa, Riccardo dello Sbarba e Hans Heiss, durante una escursione sul luogo, ha potuto constatare di persona la bellezza del territorio, e si è convinta della problematicità ecologica così come del ridotto valore economico di tutto il progetto.
Il collegamento previsto sarebbe certo su un territorio dall‘innevamento naturale assicurato, ma necessiterebbe di interventi molto costosi per mettere gli impianti in sicurezza dall’instabilità e dall’erosione che caratterizza il terreno. Ma soprattutto questi provvedimenti danneggerebbero in modo irrecuperabile un paesaggio dall’altissimo valore. Interi habitat di piante e animali verrebbero distrutti, senza vantaggi rilevanti per i/le residenti.
A beneficiarne sarebbe soprattutto il partner austriaco delle Kaunertal, insieme ai danni collaterali dovuti alla concorrenza di cui soffrirebbero anche le vicine aree sciistiche vicine della Haider Alm e di Schöneben. Per cui c’è solo da sperare che, sulla base della perizia degli uffici provinciali, si arrivi a una valutazione che potrà essere solo di questo tenore: giù le mani da una delle ultime valli d’alta montagna intatte dell’Alto Adige.
Vallelunga non è un territorio economicamente svantaggiato e con un’attenta valorizzazione dei suoi pregi paesaggistici e regionali potrebbe diventare un luogo eccezionale: un centro per le escursioni estive e per lo sci d’alpinismo di grande fama, un piccolo gioiello turistico dal panorama di rara bellezza.
Un intervento fortemente invasivo come l’impianto di collegamento progettato distruggerebbe in modo duraturo queste sue caratteristiche uniche e ideali.
19.10.2016
Gruppo Verde in Consiglio provinciale

Dialogo sugli orti terapeutici
sabato 05.11.2016 ore 9.30 -13.00
Martinsbrunn Centro cure palliative – Pavillon

Orti e giardini non sono solo pezzi di terra in cui si coltivano piante, ortaggi e fiori, ma veri e propri luoghi di benessere e terapia. Tutti e tutte, Giovani e anziani, persone sane e ammalate, disagiate o meno possono trarne vantaggio. Anche la politica deve tenerne conto.
Il Gruppo di lavoro Social&Green organizza insieme al Gruppo Verde in Consiglio provinciale un evento-dialogo per saperne di più.
Perché il nostro benessere ha bisogno di un orto? Edith Verginer, ortoterapeuta
L’effetto benefico di musica, suoni e colori sui pazienti Martinsbrunn, Merano
Il giardino dei sensi nella Residenza di cura e per anziani a Laces Iris Cagalli, direttrice
Un orto per il reinserimento Centro di training professionale C.c. Burgraviato
Un giardino per la musica sopra il reparto di Oncologia a Bolzano Gruppo TERRAE
Obiettivo dell’evento: capire, fare rete ed elaborare insieme delle richieste concrete alla politica. Le tue esperienze, i tuoi progetti e altre idee innovative sono benvenute.

Moderazione: Katharina Erlacher – blufink
Alle ore 13:00 Buffet conclusivo