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Responsabilità condivisa, povertà dimezzata

MOZIONE.

Non è una novità, e lo si sente dire regolarmente: le donne interrompono spesso la loro carriera lavorativa per riuscire a conciliare famiglia e lavoro, e per questo motivo escono dal mercato lavorativo, in molti casi anche per lunghi periodi. Così facendo le donne finiscono per guadagnare meno nel corso della loro carriera, e di conseguenza nella vecchiaia ricevono una pensione che arriva solo alla metà di quella degli uomini. Questo fenomeno viene chiamato “gender pay gap” (divario retributivo di genere) e in parole povere significa che le donne percepiscono retribuzioni più basse.
In termini statistici si tratta della differenza tra i salari orari lordi di uomini e donne espressi in percentuale rispetto ai salari maschili. Stando ai dati forniti dall’IPL in occasione dell’equal pay day 2016, in Alto Adige il differenziale salariale medio (riferito solo a chi lavora a tempo pieno) è del -17,2 % se calcolato sul salario giornaliero, e del -27 % sul salario annuale.
In Alto Adige l’equal pay day si tiene da tempo nel mese di aprile. Questo perché una donna deve lavorare fino all’aprile dell’anno in corso per guadagnare quanto un uomo ha già ottenuto il 31
dicembre dell’anno prima. Il gender pay gap risulta spesso da un insieme di fattori: gli stereotipi di genere per cui si ritiene che rispetto alle donne gli uomini siano più in grado di svolgere compiti dirigenziali e i premi di produttività vanno preferibilmente ai maschi, le scelte formative e professionali delle giovani donne che le portano a scegliere professioni di per sé retribuite meno bene e il fatto che in media gli uomini fanno più straordinari, vanno più spesso in missione e si vedono assegnare più compiti aggiuntivi, e per questo ricevono più indennità (spesso anche perché le donne li sgravano dei compiti legati alla vita quotidiana familiare).
Un aspetto importante in questo contesto è però la scelta che compiono molte coppie nel momento in cui hanno figli, vale a dire che la donna resta a casa per un periodo di tempo più o meno lungo
oppure sceglie il part-time. Ci preme qui sottolineare che si tratta di una scelta che devono compiere ENTRAMBI i partner. In genere però viene presentata come una scelta che ricade unicamente sulla donna o almeno viene percepita come tale dalla società, ed è persino descritta in questi termini nelle ricerche svolte in ambito lavorativo.
A prima vista questa decisione può sembrare anzitutto un contributo per alleggerire i ritmi familiari, ma spesso invece implica che chi lavora parttime ha meno opportunità di carriera, e quindi, a conti fatti, anche nel caso di un ritorno al tempo pieno se “l’organizzazione della famiglia” lo consente, continua a comportare una minore retribuzione del lavoro femminile.
Anche quando in famiglia c’è una persona non autosufficiente assistiamo spesso ad analoghi meccanismi nel prendere questo tipo di decisioni. E anche in questo caso sono in genere le donne ad occuparsi dei loro famigliari sacrificando la professione. Le conseguenze per la vita lavorativa, e qui stiamo parlando soprattutto dal punto di vista retributivo, sono le stesse come nel caso della nascita di un figlio.
Ma la scelta compiuta da giovani genitori arriva a incidere in modo particolare quando iniziamo a parlare di pensione: a lungo andare gli effetti del divario saranno che le donne percepiranno pensioni dimezzate rispetto agli uomini. Tutto ciò comporta una serie di conseguenze negative per le donne, e in età avanzata sono soprattutto loro ad essere esposte al rischio di povertà.
Nonostante le campagne in corso, molte giovani famiglie non sono consapevoli di queste implicazioni o lo sono solo in parte. In particolare, il fatto di ridurre tutto a una scelta della donna fa sì che l’argomento venga allontanato e ridotto a mera questione femminile. Questa situazione deve cambiare.

Pertanto il Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano incarica la Giunta provinciale

  1. di fare tutto il possibile affinché il tema della conciliabilità tra famiglia e lavoro venga presentato e percepito come qualcosa che interessa e tocca tutti i componenti della famiglia;
  2. di aumentare gli sforzi di sensibilizzazione per una responsabilità condivisa soprattutto nella fase in cui si decide di fondare una famiglia e si pensa all’accudimento dei figli e/o alla cura dei
    famigliari, con le differenze di reddito che ne derivano, soprattutto nell’età della pensione;
  3. di sostenere finanziariamente e/o con altre misure le famiglie e unioni che dimostrano di non privilegiare uno dei due partner nella fase in cui si fonda una famiglia e ci si occupa dell’accudimento dei figli e/o della cura dei famigliari;
  4. di avviare e svolgere campagne di sensibilizzazione in ambito economico affinché l’attenzione alla famiglia venga considerata sempre più un fattore che rende attrattiva un’azienda, e le misure a favore della famiglia caratterizzino la politica aziendale. Seguendo l’esempio della Svezia, l’obiettivo da perseguire è quello di fare in modo che le aziende sollecitino i loro dipendenti – sia uomini che donne – a usufruire del congedo parentale e che la società non solo accetti ma ritenga auspicabile che anche i padri si occupino dei figli;
  5. di porre particolare attenzione alle difficoltà che incontrano i genitori single.

BZ, 17.02.2020

Consiglieri provinciali
Brigitte Foppa
Riccardo Dello Sbarba
Hanspeter Staffler

Author: Heidi

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