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L’attuale campagna „Basta violenza“ è discriminatoria

Al Presidente del Consiglio provinciale

Interrogazione

L’attuale campagna „Basta violenza“ non viola il divieto di discriminazione previsto nella Costituzione?

StoppGewaltDa un mese il dibattito sulla violenza tra i giovani è particolarmente acceso, a causa di una brutale aggressione da parte di un gruppo di ragazzi di origine straniera contro alcuni giovani e una ragazza „autoctoni“ di famiglie conosciute. L’aggressione, sicuramente da condannare sotto ogni punto di vista, che ha provocato lesioni anche gravi, ha dato vita a una campagna mediatica in cui il quotidiano Dolomiten ha insistito sulla presenza di giovani stranieri in fatti di violenza. Ora, nessuno mette in dubbio che giovani immigrati partecipino a queste azioni violente, provocando spesso ferite fisiche e psicologiche nelle vittime. I giovani coinvolti e le loro famiglie hanno sicuramente diritto a solidarietà e aiuto concreto e la campagna mediatica ha contribuito sicuramente ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema.

La campagna ha però anche messo nel mirino, per settimane intere, stranieri e soprattutto albanesi identificandoli come potenziale fattore di violenza nella nostra provincia. Dal modo in cui vengono descritti i fatti, non vengono messi sotto accusa solo i colpevoli, ma intere nazionalità, che vengono classificate come fattori di rischio per la sicurezza.

Soprattutto i giovani albanesi sono finiti nel mirino della stampa. La comunità albanese è il gruppo di immigrati più numeroso in Alto Adige, con 5600 Persone (dati 2011).

Anche se il Dolomiten ha cercato di attutire le notizie sulla violenza degli stranieri cercando di valorizzare gli „stranieri buoni“, nei lettori sono rimaste impresse solo le immagini negative, come dimostrano anche le reazioni sui forum in internet. Una campagna di questo tipo non è assolutamente condivisibile, anche se si fa portatrice di un’opera di sensibilizzazione su un tema trascurato e nonostante la solidarietà che va espressa alle vittime e il nobile obiettivo che fatti del genere non si ripetano più.

La campagna ha raggiunto l’apice il giorno del „vertice sulla sicurezza“ presso la Camera di commercio a Bolzano (11 luglio 2013), nel corso del quale Stato, Provincia e organizzazioni sociali (e senza la presenza dei rappresentanti della popolazione albanese così violentemente incriminata) hanno fatto un bilancio della situazione e si sono accordati su alcuni provvedimenti. Tenendo comunque presente la serietà dei fatti, il prefetto Valenti ha affermato che “è esagerato parlare di stato di emergenza”.

Lo stesso giorno, il Dolomiten elencava su due colonne vittime e colpevoli di 44 casi nel periodo tra la primavera del 2004 e luglio 2013: colpevoli di 36 casi venivano identificati gli “albanesi” a cui venivano aggiunti gruppi di diversa nazionalità: 3 macedoni, 4 nordafricani, alcuni pachistani, poi un numero non ben definito di “stranieri”, “presumibilmente stranieri”, “giovani di origine straniera”, 2 meridionali, 5 ragazzi autoctoni, un uomo di Laives e uno di Merano.

Tra le vittime sono state elencate 63 persone autoctone a cui si sono aggiunte come eccezioni una donna marocchina e una immigrata. Non si tratta di dati raccolti in modo obiettivo, ma di risultati di una ricerca privata e di indicazioni da parte delle persone coinvolte. Per ragioni di completezza, aggiungo qui che nella lista pubblicata dal Dolomiten non si fa cenno alle aggressioni violente di gruppi autoctoni neonazi e neofascisti susseguitisi nella zona di Merano tra il 2004 e il 2009.

Ripeto: nessuno vuole mettere in discussione la gravità delle conseguenze di queste aggressioni e nemmeno ridurre il dolore delle vittime, ma questa presentazione mediatica deve essere criticata, poiché ai lettori e alle lettrici viene trasmesso il seguente messaggio:

Gli aggressori sono principalmente stranieri, soprattutto albanesi

Le vittime sono invece, quasi senza eccezioni, autoctone e giovani.

La conseguenza è che gli Albanesi vengano continuamente discriminati e per stigmatizzare in modo così negativo un intero gruppo etnico sono sufficienti 50-100 soggetti, l’1% del gruppo di appartenenza: quanto questo possa influenzare l’atmosfera e la qualità di vita di un’intera nazionalità, ce lo si può facilmente immaginare: con questi sospetti e attribuzioni di colpa ci si comporta in modo molto simile a come si atteggiavano un tempo gli italiani nei confronti dei Sudtirolesi, considerati tutti come nazisti, poiché, almeno dopo le opzioni del 1939, numerosi gruppi avevano simpatizzato con il Nazionalsocialismo.

Quindi, poniamo le seguenti domande alla giunta provinciale:

  1. Quali sono i risultati esatti del „vertice sulla sicurezza“? Quali provvedimenti sono stati concordati?
  2. Da parte della provincia, è stato offerto supporto alle vittime delle violenze fisiche e psicologiche subite?
  3. Si è parlato durante il vertice anche di come assicurare la protezione della buona reputazione delle nazionalità straniere?
  4. Non giudica la campagna mediatica in atto come discriminatoria nei confronti di interi gruppi etnici e quindi in violazione della costituzione? Nonostante abbia contribuito alla protezione delle vittime?
  5. L’ufficio antidiscriminazioni della provincia (Art. 5 della legge provinciale 12/2011) valuterà se con la presente campagna non sussista una massiccia e ingiusta discriminazione di un gruppo etnico?
  6. Quali dati statistici sulla violenza contro le persone nel periodo dal 2004 al 2013 sono a disposizione? Si può individuare il numero delle aggressioni, i danni inferti e i gruppi di età coinvolti? (Se ne richiede una documentazione).

Bolzano,12. luglio 2013

Hans Heiss
Riccardo Dello Sbarba

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